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Riduzione dell’orario di lavoro solo con accordo scritto

 

Riduzione dell’orario di lavoro solo con accordo scritto

 

Nell’attuale diffusa situazione di crisi, può verificarsi che il datore di lavoro, al fine di ridurre gli oneri connessi al mantenimento dei livelli occupazionali e per adeguare la presenza in servizio dei propri dipendenti ai ridotti volumi di attività, diminuisca unilateralmente l’orario dei lavoratori o raggiunga con essi accordi verbali in tal senso.
A dissuadere, tuttavia, da tale tentazione le imprese è ritornata la Suprema Corte con una sentenza della fine del 2011 (Cass. 24476/11), nella quale si ribadisce, tra l’altro, che il datore di lavoro non può unilateralmente disporre la riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione del lavoratore.
Nel caso di specie, un imprenditore aveva unilateralmente ridotto l’orario di lavoro di un proprio dipendente, che si rivolgeva al giudice per ottenere il pagamento della retribuzione così perduta.
Il datore di lavoro si difendeva negando l’unilateralità della sua condotta ed affermando l’esistenza di un accordo sul punto con quel dipendente, come peraltro avvenuto in passato con altri lavoratori della sua impresa.
Dopo un primo grado di giudizio vittorioso, la Corte d’Appello condannava il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive ed al ripristino del rapporto a tempo pieno in favore del ricorrente.
Analogamente, anche la Suprema Corte confermava la sentenza d’appello, ritenendo che – quand’anche fosse vero che la riduzione dell’orario di lavoro fosse stata concordata tra le parti, circostanza comunque non provata – in ogni caso tale pattuizione sarebbe stata radicalmente nulla, in quanto violativa dell’art. 5, co. 10, l. 863/84.
Tale norma, infatti, prevedeva la necessità della forma scritta “ad substantiam” per la riduzione consensuale di un rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
Forma scritta non rispettata nel caso di specie, con la conseguenza che sarebbe stato inutile invocare l’esistenza di un’intesa verbale in materia.
Sebbene la norma in questione sia stata abrogata dalla l. 61/00, l’art. 5, co. 1, di tale articolato normativo mantiene tuttavia analoga previsione, perciò nulla è mutato sotto questo aspetto, con ogni conseguenza in ordine alla assoluta attualità della pronuncia in questione.
Viceversa, la norma di cui sopra è stata recentemente modificata dalla Legge di Stabilità per il 2012 (l. 183/11), che ha soppresso – a far data dall’1 gennaio 2012 – la necessaria e preventiva convalida dell’effettiva volontà del lavoratore di trasformare il contratto di lavoro dinanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro competente (ex DPL), rendendo in tal modo più agevole l’operazione.

 

Furto, smarrimento e distruzione di documenti contabili, come procedere.

In caso di furto, smarrimento o distruzione accidentale dei documenti contabili manca una norma specifica che ne disciplini le conseguenze.

L’articolo 39 comma 2 lettera c), specifica che, qualora le scritture contabili non siano disponibili per “causa di forza maggiore”, l’Ufficio ha il potere di determinare induttivamente il reddito, avvalendosi anche di presunzioni semplici.

La giurisprudenza pare concorde nell’affermare che il contribuente, successivamente all’evento dannoso, abbia il dovere di adoperarsi per ricostruire i dati e gli elementi contenuti nelle scritture andate perse.

In particolare la R.M. n. 445366 del 27/7/91 ha previsto l’obbligo di annotare nuovamente le registrazioni sul registro bollato aziendale, apponendo su ciascuna nuova pagina il riferimento al numero di foglio corrispondente alla precedente registrazione andata perduta. Attualmente l’obbligo di vidimatura sussiste solo per i c.d. registri sociali (libro soci, assemblee, cda, ecc.).

Nel diverso caso in cui la perdita riguardi anche le fatture, e in generale i documenti probatori dei fatti di gestione, il contribuente avrà l’arduo compito di contattare tutti gli interlocutori (clienti, fornitori, banche ecc.) per reperirne le copie necessarie.

Infatti, in base alla sentenza della Cassazione n. 10238/97, incombe al contribuente l’onere di provare l’affermata distruzione dei documenti contabili, e ciò in quanto, la enunciazione di un fatto positivo deve essere provata da chi lo adduce.

In sostanza, in caso di furto, smarrimento o distruzione dei documenti contabili è bene attuare delle semplici operazioni:

1) effettuare una denuncia alle competenti autorità di pubblica sicurezza (es.: carabinieri) ai fini della prova che tali documenti non sono più presenti in originale presso il contribuente;

2) procedere alla richiesta delle copie dei documenti (richiedendole ai clienti e ai fornitori, ristampare i registri se tenuti con modalità informatiche);

3) ricostruire le operazioni effettuate (ad es: controllo dei movimenti di cassa al fine di ricostruire il registro dei corrispettivi);

Queste semplici operazioni assicureranno il contribuente da eventuali richieste pretestuose dell’Agenzia delle Entrate. Ricordiamo, tra l’altro, che nessuna norma stabilisce che sia obbligatoria e/o necessaria una comunicazione all’Agenzia delle Entrate.

Abolizione delle tariffe professionali

Con l’abrogazione delle tariffe e l’istituzione dell’obbligo di preventivo, è stato fatto un passo importante verso la liberalizzazione delle professioni.

Il nostro Studio non è contrario alla liberalizzazioni, anche se possiamo affermare che queste novità genereranno sicuramente qualche problema applicativo.

Anche l’obbligo di preventivo va senz’altro a favore dei clienti, che potranno più agevolmente comprendere e verificare quale potrà essere il costo del professionista. La difficoltà maggiore sarà quella di stabilire un compenso quando la prestazione non sarà determinata o determinabile, oppure quando lo Stato, in corso d’opera, richiederà ulteriori adempimenti fiscali rispetto a quelli preventivati.

A ns avviso un intervento più incisivo, in tema di liberalizzazioni, sarebbe quello di verificare quali siano i diritti acquisiti inviolabili che vantano alcune categorie, tra cui quella politica. Infatti nel momento in cui lo Stato preclude ai nuovi arrivati di acquisire a loro volta tali diritti, questi diventano in tutta evidenza dei veri e propri privilegi.

Dott. Maurizio Ortenzi

Mancato invio certificazione

Domanda: Nonostante i numerosi e continui solleciti al sostituto d’imposta, non ho mai ricevuto la certificazione delle ritenute d’acconto; come mi devo comportare?

Risposta: Ai sensi dell’art. 4, commi 6-ter e 6-quater, DPR n. 322/98 il sostituto d’imposta è tenuto a rilasciare ai percettori entro il 28.2 dell’anno successivo, una certificazione attestante l’ammontare delle somme corrisposte e delle ritenute operate. Purtroppo troppo spesso ciò non avviene.

Bisogna tener conto del fatto che il sostituto d’imposta è l’unico soggetto che può essere ritenuto responsabile della mancata corresponsione delle ritenute all’Erario.

Di questo tema se ne è occupata l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione  del 19.3.2009, n. 68/E, la quale ha riconosciuto al contribuente, che non sia in grado di esibire la certificazione rilasciata dal sostituto d’imposta, di scomputare legittimamente quanto subito “… a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente da banche o altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura”.

Il contribuente, pertanto, potrà comunque scomputare la ritenuta previa predisposizione della seguente documentazione:

– copia della fattura emessa; – documentazione bancaria attestante quanto percepito; – dichiarazione sostitutiva di atto notorio nella quale il contribuente dichiara, sotto la propria responsabilità, che la documentazione attestante il pagamento si riferisce ad una fattura  regolarmente contabilizzata, a fronte della quale non vi sono stati altri pagamenti da parte del sostituto d’imposta.

Doppia fatturazione

Domanda: “Ho emesso per sbaglio due fatture con la stessa numerazione. Cosa devo fare?”

Risposta: L’emissione di fatture puo’ legittimamente operarsi con l’adozione delle c.d. particelle “bis”. Ciò è stato confermato dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Aosta (decisione 9 del 21 ottobre 1976) che precisa: “la correzione di errori nella numerazione delle fatture può operarsi con l’adozione della particella bis, ecc.. tale correzione mentre non altera la sequenza numerativa, vale a contraddistinguere e a individuare le fatture nel senso voluto dall’art. 21 dpr 633/72″